A settant’anni ho capito che ciò che fa davvero paura non sono le case vuote, ma quelle piene di persone per cui non servi più a niente

Mi chiamo Elena. Quest’anno ho compiuto settanta anni.
Un numero bello, rotondo. Ma nel cuore… c’è il vuoto.
Perfino la torta preparata da mia nuora sapeva di nulla.
Forse perché ormai non desidero più… né dolci né attenzioni.
Per tutta la vita ho pensato che la vecchiaia significasse solitudine.
Quando nessuno passa a trovarti, il telefono tace e i fine settimana sono come foglie appassite: silenziosi e freddi.
Ma adesso lo so:
la vera solitudine è stare tra i propri cari e sentirsi comunque estranea.
Mio marito, Antonio, è morto dieci anni fa.
Abbiamo vissuto insieme quasi quarant’anni.
Era serio, taciturno, ma mi bastava un suo sguardo per sentirmi al sicuro.
Dopo la sua morte sono rimasta con i miei figli – Marco e Renata.
Pensavo che sarebbero stati la mia roccia.
Ho dato loro tutto – il mio tempo, le mie forze, le notti passate accanto a fronti febbricitanti.
Non mi sono mai lamentata. Per me non era un dovere, era amore.
Credevo che l’amore ritornasse.
Ma col tempo sono venuti sempre meno.
– Mamma, questo weekend siamo molto impegnati.
– Ti chiamiamo la prossima volta.
E io aspettavo. Continuavo ad aspettare.
Finché un giorno Marco mi propose:
– Mamma, vieni a vivere da noi. Sarai più tranquilla, non resterai sola.
Accettai. Distribuii le mie cose, salutai il mio appartamento, chiusi la porta a chiave.
Mi trasferii da loro.
All’inizio tutto sembrava bello.
La mia nipotina mi cercava per abbracciarmi, mia nuora mi invitava a prendere un tè.
Ma molto presto il tono cambiò.
– Mamma, non mettere quegli asciugamani lì.
– Meglio restare nella tua stanza, arriveranno degli ospiti.
– Perché hai acceso la TV così alta?
Pian piano ho iniziato a sentirmi come un oggetto.
Come se ci fossi, ma dessi fastidio a tutti.
Una sera ho sentito mia nuora al telefono:
– Sta seduta in silenzio, non dice niente. Come un quadro appeso al muro.
Quella notte rimasi a lungo a guardare il soffitto.
E capii: sono circondata da persone, ma più sola che mai.
Dopo un mese me ne sono andata.
Dissi che un’amica in campagna mi aveva offerto una stanza.
Marco annuì soltanto:
– Forse è meglio così, mamma. Avrai più pace.
Ora vivo in un piccolo appartamento a Parma.
Cucino, leggo, ascolto gli uccelli fuori dalla finestra.
Nessuno urla, nessuno pretende, nessuno mi guarda come se fossi un peso.
Ho settant’anni. Non aspetto più niente.
Voglio solo essere – una persona.
Non un’ombra. Non un fastidio.
Adesso lo so: un appartamento silenzioso non fa paura.
Fa paura sedersi alla tavola di famiglia e vedere che tutti si comportano come se tu non esistessi.
La vecchiaia non sono le rughe.
La vecchiaia inizia quando il tuo amore non serve più a nessuno.



