Ogni mattina, una rosa appariva sulla mia soglia… E poi arrivò un biglietto che cambiò tutto

Per diverse settimane ogni mattina trovavo una rosa rossa solitaria sulla soglia di casa mia. Nessun biglietto, nessuna spiegazione, solo un fiore, delicatamente lasciato sullo zerbino. All’inizio mi sembrava una cosa carina, anche romantica.
Dopo il divorzio, avvenuto nove anni fa, mi ero abituata alla solitudine. Il mio ex marito era andato via con un’altra, e poi aveva cercato di tornare, ma non avevo potuto perdonarlo. Ora la mia vita scorreva tranquilla: lavoro in biblioteca, volontariato, serate accoglienti con il lavoro a maglia.
Ma quelle rose… Hanno iniziato a smuovere i ricordi. Forse qualcuno voleva dirmi qualcosa? La mia amica Patrizia scherzava dicendo che avevo un ammiratore segreto.
Tuttavia, col tempo, i fiori hanno iniziato a causarmi preoccupazione. Chi li lasciava? Perché non scriveva una parola? Perché non si mostrava? Ho cominciato a guardarmi intorno più spesso, a controllare le finestre, a fermarmi davanti alla porta d’ingresso, ascoltando ogni rumore.
E poi le rose sparirono. Un mattino, al loro posto, trovai un biglietto:
«Non sei così sola come pensi».
Le mani tremavano, un brivido mi percorse il petto. Cos’è questo? Un avvertimento o un sostegno? Qualcuno mi stava controllando?
Mostrai il biglietto a Patrizia. Lei si accigliò:
– Non è normale, cara. Devi avvisare la polizia.
– Forse sto solo esagerando… – provai a giustificarmi.
– No, non dovresti rimanere sola con questo.
Poi, accadde qualcosa di ancora più strano. Notai un’auto parcheggiata di fronte a casa mia. Il conducente faceva finta di leggere il giornale, ma sentivo il suo sguardo. Ciò andò avanti per diversi giorni.
– Stasera dormirai da me, – dichiarò Patrizia quando le raccontai dello sconosciuto.
Non discutetti.
La mattina seguente qualcuno bussò alla porta. Patrizia guardò dallo spioncino e rimase paralizzata.
– È lui.
Un brivido mi attraversò.
– Chi è? Cosa vuole? – chiese severamente attraverso la porta.
– Per favore, – una voce maschile attutita si sentì. – Ho bisogno di parlarle.
– Con me? – strinsi le mani in pugni.
Patrizia chiese con prudenza:
– E chi è lei, di preciso?
– Mi chiamo William. Ci conosciamo.
Rimasi senza fiato. William… Il nome suonava vagamente familiare, ma non riuscivo a ricordare da dove.
– William chi? – chiese Patrizia.
– Abbiamo studiato insieme a scuola.
Aprii la porta con la catena. Sulla soglia c’era un uomo di circa cinquant’anni con taglio di capelli curato e occhiali con una montatura sottile.
– Non mi ricordi, vero? – chiese incerto.
Scossi la testa.
– Il ballo di fine anno, – mi ricordò. – Allora ti ho regalato una rosa. Mi hai detto che era il tuo fiore preferito…
Rimasi sorpresa. Quel momento riemerse nella mia memoria. Un ragazzo timido che mi porgeva una rosa all’ingresso della sala. Sorrisi, lo ringraziai, ma in quel momento pensavo a tutt’altro. A con chi volevo ballare.
– Mi hai riconosciuta in biblioteca, vero? – immaginai.
Lui annuì:
– Ti ho vista al banco e mi è subito tornato in mente. Ma non ero sicuro che tu volessi vedermi. Allora ho deciso… di lasciarti semplicemente delle rose.
– E il biglietto?
Abbassò lo sguardo:
– Sembravi così sola. Volevo che sapessi che qualcuno pensava a te.
Lo guardavo, sentendo che l’apprensione svaniva, lasciando il posto a un altro sentimento.
Patrizia era ancora lì, con le braccia incrociate sul petto.
– Bene William, – disse. – La prossima volta è meglio parlare direttamente, piuttosto che giocare a messaggi segreti.
Io e William ci scambiammo uno sguardo e sorridemmo.
– Hai ragione, – concordò lui. – Forse, invece delle rose, potrei invitarti a prendere un caffè?
Esitai solo un istante, poi annuii.
Due settimane dopo eravamo seduti in un caffè accogliente, ridendo e ricordando i tempi della scuola.
Le rose non erano un avvertimento, ma un promemoria: anche dopo tanti anni, si può trovare qualcuno che ti ricorda per come eri una volta.