Un vecchio cane seduto su una panchina davanti all’ospedale: aspetta la sua padrona, che però non tornerà più

Il personale dell’ospedale cittadino ormai si era abituato a lui. Un vecchio labrador con il muso imbiancato e occhi tristi compariva puntualmente ogni mattina alle nove davanti all’ingresso principale e si sistemava su una panchina. Nessuno lo mandava via: tutti conoscevano la storia di Rex.

Fu l’infermiera Sophie a notare per prima il cane tre settimane fa. Quel giorno, Maria, una donna di settantadue anni, era stata portata in ospedale per un infarto massivo. Rex era corso dietro all’ambulanza, ma, ovviamente, non gli era stato permesso entrare. Si era sdraiato di fronte alla porta e non si era più mosso, rifiutando cibo e acqua.
«Non ha nessuno, tranne me», aveva detto Maria ai medici prima di essere portata in terapia intensiva. «Mi aspettava fuori dall’ospedale quella volta che mi ruppi una gamba. Aspettava fuori dalla scuola quando lavoravo come maestra. E ora… aspetta di nuovo».
Maria non superò la seconda notte. Ma Rex non se ne andò.

All’inizio, la guardia Thomas cercò di portare il cane in un rifugio, ma Rex tornava ogni volta con quella testardaggine che solo le creature davvero fedeli possono avere. Così il personale gli assegnò un posto sulla panchina dove, in passato, Maria si sedeva in attesa del suo turno in ambulatorio.

Ogni giorno, Rex arrivava e fissava la porta. Il personale in camice bianco gli portava ciotole d’acqua e cibo. Sophie, addirittura, prese da casa una vecchia coperta per stenderla sulla panchina: era autunno, e al mattino faceva già freddo.
I bambini che venivano a trovare i parenti si fermavano per accarezzare il «cane dell’ospedale». Rex sopportava pazientemente quelle carezze, ma non scodinzolava mai. Nei suoi occhi c’era un’attesa eterna che, giorno dopo giorno, si trasformava in una malinconia silenziosa.

Quel giorno, il dottor Lucas si trattenne più del solito dopo il suo turno. Uscendo dall’ospedale, vide Rex disteso immobile sotto la pioggia battente. La coperta era ormai fradicia, ma il cane non si muoveva.
Qualcosa nel cuore del medico, abituato a vedere così tanto dolore e perdita, si spezzò. Si avvicinò e si sedette accanto al cane. Rex alzò la testa e lo guardò con un’espressione così colma di comprensione da toccargli l’anima.
«Sai», disse piano Lucas, «a volte la cosa più difficile è smettere di aspettare».
La mattina seguente, Rex non si presentò. Sophie e le altre infermiere si preoccuparono, chiedendo informazioni alle guardie e ai medici. Nessuno aveva visto il vecchio labrador.

Una settimana dopo, sulla bacheca nell’atrio dell’ospedale, comparve una foto: il dottor Lucas, la sua piccola figlia Emma e Rex, accoccolato accanto al camino. Sotto l’immagine c’era una breve frase: «A volte, per iniziare una nuova storia, bisogna voltare la pagina di quella vecchia. Grazie per esservi presi cura di lui».

Molte cose cambiarono in ospedale da quel momento, ma la storia del cane che aspettava davanti alla porta rimase. Venne raccontata ai nuovi membri del personale, ai visitatori, ai pazienti più provati dalla vita.

Ogni tanto, il dottor Lucas portava Rex con sé durante le visite ai pazienti più gravi. Gli anziani accarezzavano il suo muso argentato, e nei loro occhi compariva quel qualcosa che spesso mancava tra le pareti di un ospedale: la speranza. La speranza che, anche dopo la perdita più grande, si possa trovare una nuova strada verso casa.

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