La mamma mi ha abbandonato quando avevo 8 anni e per molti anni ha fatto finta che io non esistessi per lei. Ma un giorno ha chiamato – e le sue parole hanno sconvolto tutto ciò in cui credevo…

Quando avevo otto anni, la mia mamma partì per un viaggio da cui non tornò mai più. Mi lasciò alle cure di mia zia e mio zio, promettendo che la sua assenza sarebbe stata breve e che presto sarebbe venuta a prendermi. Poi, prolungò la sua permanenza e incontrò un uomo in Italia, decidendo di restare lì.

Ogni volta che chiedevo di incontrarla, aveva una scusa pronta. “Quando verrai a studiare all’università, allora ci vedremo” – diceva. Col tempo smise completamente di telefonare. Mia zia e mio zio assunsero il ruolo di genitori.

Poi, negli ultimi anni di scuola superiore, qualcosa cambiò. Zia improvvisamente mi passò la cornetta.
– È la tua mamma! Dice che è urgente!

Sentivo il mio cuore battere all’impazzata mentre rispondevo; non la sentivo da tanti anni.

– Ciao… – dissi, stupendomi di quanto familiare suonasse la mia voce.

Nella cornetta ci fu una pausa, poi la sentii:
– Figliola…

Mi sentii come colpita da un fulmine. L’ultima volta che avevo sentito quella parola era quando ero bambina. Rimasi in silenzio. Se lei avesse detto: “Come stai?”, probabilmente avrei subito chiuso la chiamata. Ma poi sospirò:
– Mi vergogno tanto. So che ho meno diritto di chiedere qualcosa di chiunque altro. Ma, per favore… ascoltami.

Rimasi in silenzio. Sentii che stava tirando su col naso.
– Non sono una mamma da fiaba, – continuò. – Sono quella che è scappata. All’inizio pensavo che sarebbe stato per poco. Poi divenne sempre più difficile tornare. E ora vivo ogni giorno con questo.

Volevo dire qualcosa di pungente. Qualcosa come: “Beh, in qualche modo sono cresciuta senza di te”. Ma invece chiesi:
– Perché hai chiamato? Perché proprio ora?

Lei rimase in silenzio ancora un po’ e poi disse:
– Voglio vederti. Non per farti provare pena per me. Non per chiederti soldi. Voglio almeno una volta guardarti negli occhi e non nascondermi. Se dopo questo non vorrai mai più parlare con me, lo accetterò. Ma, per favore, dammi la possibilità di spiegarti.

La sera ne parlammo con mia zia in cucina.
– Non sei obbligata ad andare, – disse lei. – Non devi niente a nessuno.
– Ma è sempre mia madre… – riuscii a dire.
– Di sangue – sì, – sospirò la zia. – Di vita – non molto.

Mi misi a letto, ma rimasi sveglia tutta la notte. Davanti agli occhi – il momento in cui partì con una grande valigia. Come mia zia mi teneva per le spalle dicendo: “Mama tornerà presto”. Come contavo gli aerei di notte, desiderando che sul prossimo venisse lei. E non veniva mai.

La mattina seguente comprai un biglietto. Non perché l’avessi perdonata. Ma perché volevo guardarla negli occhi e capire: è ancora viva per me o no.

Mi aspettava in un piccolo caffè vicino alla stazione. Non la riconobbi subito. Sembrava più piccola, più bassa, i capelli ingrigiti, lo sguardo stanco. Ma il sorriso… lo stesso che un tempo mi faceva venire voglia di stringermi a lei. Si alzò, come se avesse paura di fare un movimento di troppo.
– Sei cresciuta tanto, – disse stupidamente.
– E tu… sei invecchiata, – risposi, e entrambe ci lasciammo sfuggire un sorriso. Teso, ma comunque.

Ci sedemmo l’una di fronte all’altra, tra di noi – delle tazze di caffè e un’enorme voragine di anni.
– Ho rovinato tutto, – iniziò lei. – Lo so. Non c’è bisogno di discutere. Me ne andai quando avevi più bisogno di una mamma. Sono fuggita nella mia favola, ma la favola finì molto presto.

Mi raccontò di come l’uomo per il quale era rimasta, dopo un paio d’anni, aveva trovato un’altra donna. Di come era rimasta sola in un paese straniero, senza soldi, senza conoscere la lingua, con un sacco di debiti. Di come lavorava ovunque potesse, dormiva in una stanza con altre quattro donne come lei, di come si vergognava di chiamarmi perché ogni volta non sapeva cosa rispondere alla domanda: “Quando verrai?”

– All’inizio mi vergognavo, – ammise. – Poi mi presi paura. Pensavo che mi odiassi. Pensavo: “Ecco, è troppo tardi, è cresciuta senza di me, le farà solo più male se mi faccio viva”. Mi convincevo che così sarebbe stato meglio per te. Ma in realtà mi stavo solo nascondendo.

La ascoltavo e capivo: sì, questa non è la storia di un’eroina che ha superato tutto. È la storia di una persona che una volta si spaventò e rimase bloccata in quella paura per anni.

– Ma perché proprio adesso? – chiesi. – Dopo tutti questi anni di nulla, improvvisamente è “urgente”?

Respirò profondamente.
– Ho problemi di salute, – disse senza enfasi. – Seri. Non so quanto tempo mi resta. E ho capito che potrei morire senza aver mai almeno una volta provato a dirti: “Mi dispiace”. Non per giustificarmi. Non per far finta che fosse tutto “complicato”. Solo per dire onestamente: non ho scelto te. E vivo con questo.

Mi guardò come quando ero bambina: attentamente, dal basso verso l’alto, come se temesse di perdersi ogni reazione.
– Non ti chiedo di chiamarmi mamma, – aggiunse piano. – Ma posso restare almeno un po’ vicino, mentre decidi chi sono per te?

Sedevo lì, ascoltando e sentendo il dolore dentro di me. Una parte di me urlava: “Alzati e vai! Dov’eri quando mi sentivo sola? Quando avevo la febbre e zia stava accanto al letto, non tu?” Un’altra parte sussurrava silenziosamente: “Eccola. Viva. Misera, colpevole, imperfetta. Eppure è la tua mamma”.

Quando pagammo, lei per un attimo mi toccò la mano, come a controllare se sarei scomparsa.
– Lascio il mio numero, – disse. – Non devi chiamare. Ma se per caso… vuoi, risponderò sempre. Questa volta non scapperò.

A casa zia mi chiese:
– Allora? Ti senti meglio?
– Non lo so, – risposi onestamente. – Fa male in modo diverso.

Ora il suo numero è nel mio telefono. A volte apro il contatto, guardo il nome e non riesco a premere “chiama”. A volte lei manda messaggi brevi: “Come stai?” “Hai mangiato?” “Ho visto in negozio i tuoi dolci preferiti”. A volte rispondo. A volte – no.

Non so ancora se sono pronta a perdonarla. Ma so che ora almeno la scelta è mia, non solo sua.

Ed ecco, che ci penso: voi, al mio posto, dareste a una madre del genere una possibilità di essere almeno un po’ nella vostra vita o chiudereste per sempre quella porta?

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