Mi hanno cacciata di casa perché non potevo avere figli. Ma la vita ha rimesso tutto al suo posto

— Chiara, tra noi è finita, disse Riccardo con freddezza. — Voglio una vera famiglia. Dei figli. E tu non puoi darmeli. Ho già presentato le carte per il divorzio. Hai tre giorni per fare le valigie. Quando te ne vai, chiamami. Starò da mia madre fino a quando non sarà pronto l’appartamento per mio figlio e sua madre. Sì, non ti stupire: la mia nuova compagna è incinta. Tre giorni, Chiara.

Chiara rimase immobile, in silenzio, al centro del salotto, come se il tempo si fosse fermato. Cinque anni cercando di diventare madre. Tre gravidanze finite in tragedia. E ora, quelle parole secche e taglienti. Non c’era nemmeno un briciolo di delicatezza. Solo un addio, freddo e brutale.

Quando la porta si chiuse alle spalle di Riccardo, Chiara si lasciò cadere sul divano. Il silenzio avvolgeva tutto. Dove sarebbe andata ora? Prima di sposarsi, viveva con una zia a Bergamo, ma la zia era morta e il cugino aveva venduto l’appartamento. Le restava solo una possibilità: la vecchia casa della nonna a San Fiorenzo, vuota da anni, ma ancora sua.

La mattina dopo, arrivò senza preavviso Lina, la madre di Riccardo. La stessa che non l’aveva mai accettata del tutto.

— Sono venuta a controllare che non ti porti via nulla che non ti appartiene — disse con tono acido.

— Non preoccuparti, non ho intenzione di rubare le tue posate d’argento — rispose Chiara, calma ma ferma.

— Sei diventata insolente… Lo dissi a Riccardo già dopo il secondo aborto: “Questa donna non ti darà mai un figlio”.

— Beh, almeno ora avrai un nipote. Cos’altro potresti desiderare?

— Non da te.

— Infatti.

Lina ispezionava la casa come un’agente fiscale. Guardava ogni oggetto con sospetto, faceva commenti. Chiara continuava a mettere da parte le sue cose in silenzio. Ma poi si ricordò della piccola statuina di porcellana a forma di gatto, dove teneva degli orecchini e un anello della madre. Nessun valore materiale, ma un’immensa importanza affettiva. Era sul balcone.

Chiara aprì la porta e Lina sbottò:

— Che stai cercando lì? Muoviti, è quasi buio!

La statuina era ancora lì. Chiara la prese con cura, rientrò in casa, appoggiò le chiavi sul tavolo.

— Ho finito. Addio. E spero per sempre.

Prima di partire, passò in ufficio per chiedere le ferie. Era in malattia, ma aveva bisogno di silenzio.

— Senza di te qui si ferma tutto — le disse il capo. — Ma ti capisco. Tieniti in contatto.

— Grazie. Voglio solo riprendermi un po’.

— Ti serve una mano con l’alloggio?

— Ho deciso. Vado a San Fiorenzo, nella casa di mia nonna.

La casa era rimasta vuota dalla morte della nonna. Un piccolo giardino, un vecchio acero, margherite selvatiche. Chiara non ci metteva piede da più di due anni. L’ultima volta era stata con Riccardo, per una grigliata. Ora c’erano solo polvere e silenzio. O forse no: sulla tavola c’erano piatti sporchi, bottiglie aperte, confezioni di succo.

Stava lavando i piatti quando qualcuno bussò alla finestra.

— Va tutto bene? — chiese una voce maschile.

Alla porta c’era un uomo che non conosceva.

— Scusa se ti ho spaventata. Sono il vicino. Ti ho vista arrivare, poi usciva fumo dal camino, ma nessuno si faceva vedere. Ho temuto che fosse successo qualcosa.

— Tutto a posto, grazie.

— Sei parente di Riccardo? È venuto qui qualche settimana fa… con una donna incinta.

— Sono quasi la sua ex moglie. E questa casa è mia.

— Capito… Io sono Paolo, sto vivendo temporaneamente nella casa di un amico qui vicino. Anch’io divorziato. Se ti serve qualcosa, sono qui. So cambiare le serrature.

— Perfetto. Ne ho davvero bisogno. Domani vado a comprarne una.

— Non spendere soldi. Ci penso io. Ti porto una buona.

Passarono due settimane. Chiara non aveva voglia di tornare. Il lavoro poteva aspettare. Riccardo non si fece vivo, solo inviò la data dell’udienza. Meglio così.

Un sabato, Paolo la invitò a fare una passeggiata fino al fiume. Nulla di romantico, solo aria fresca. Tornavano verso casa quando videro una macchina nera parcheggiata davanti. Chiara riconobbe subito l’auto di Riccardo.

Stava tentando di aprire la porta. Accanto a lui, la nuova compagna — visibilmente incinta — sembrava infastidita. Chiara si avvicinò.

— Cosa fai davanti a casa mia?

Riccardo si voltò.

— Hai cambiato la serratura?

— Ma certo. La casa è mia. Hai già dimenticato?

— Mi ha detto che era anche nostra! — urlò la donna.

— Ti ha anche detto che guida con la patente scaduta?

Riccardo rimase zitto. Chiara sorrise, prese la mano di Paolo.

— Paolo, per favore, chiudi la porta. Abbiamo ospiti non graditi.

Riccardo non disse nulla. Fece salire la donna in macchina e se ne andò in silenzio.

— Gli aspetta una vita… movimentata — commentò Paolo.

— Che la viva. Io ora ho cominciato davvero a vivere.

Quattro anni dopo.

Chiara stava facendo la spesa quando vide Lina. La donna stentò a riconoscerla.

— Chiara? Sei… incinta?

— Sì — rispose con serenità, accarezzandosi la pancia. — Manca poco.

— Riccardo se la passa male. Il bambino è nato con problemi. Quella donna lo ha lasciato. Ora cresce il piccolo da solo.

— Mi dispiace. Ma ognuno raccoglie ciò che semina.

— E tu… sei sola?

— No. Mi aspettano.

Lina si voltò e vide Paolo che teneva per mano una bambina di circa tre anni.

— Mamma! — gridò la piccola, correndo verso Chiara.

Lina rimase immobile, con il carrello della spesa fermo.

Chiara abbracciò la figlia e l’uomo che era arrivato nella sua vita quando ormai credeva di aver perso tutto, e pensò:

A volte, per diventare madre e sentirsi amata, bisogna passare attraverso il dolore. Solo dopo si trova ciò che era sempre stato destinato a noi.

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