Mio marito portò un test falsificato in cui era scritto che non era il padre di nostra figlia. Io non gli credetti. Qualcosa dentro di me urlava: non può essere vero. Decisi di cercare quella clinica

A dire il vero, mai e poi mai avrei potuto immaginare che l’uomo con cui avevo condiviso così tanti anni fosse capace di lasciarmi sola con nostra figlia. Ma quando lui, il mio unico, mi comunicò quella notizia e chiuse la porta con un tale colpo che le pareti vibrarono, per mesi ho semplicemente esistito, senza realmente vivere. Non sapevo come rimettere insieme i pezzi di me stessa.

La nostra bambina di dieci anni inizialmente non capiva cosa stesse succedendo. Pensava che la colpa fosse mia – credeva che lavorassi troppo (sono insegnante) e che dedicassi troppo poco tempo alla famiglia. Quelle parole, pronunciate con una voce piccola, offesa ma così seria, colpivano più di qualunque accusa di un adulto.

Cercai di passare più tempo con lei. Ma questo significava lavorare meno, guadagnare meno… Alla fine, un’amica mi convinse a chiedere l’assegno di mantenimento. Quando mio marito lo scoprì, perse la testa. Quel giorno si presentò da me, arrabbiato, agitato, e gettò sul tavolo un test che indicava che la bambina non era sua figlia biologica.

Sapevo che non era possibile – nella mia vita c’era stato solo un uomo. Perciò mi recai nella clinica dove erano stati fatti gli esami. E invece di scuse o spiegazioni, iniziarono a calmarmi dicendomi che i risultati non potevano essere sbagliati. Mi proposero di fare il test anche io. Assurdo. Ma diedi un campione… e venni a sapere che la bambina non aveva legami genetici nemmeno con me.

A quel punto non ci furono più lacrime – ci fu paura. Una paura così profonda da gelarti l’anima.

Insieme al mio ex marito ci recammo in un altro centro. E tutto venne confermato. Restammo seduti nel corridoio, pallidi, fissando un punto nel vuoto. Entrambi eravamo tormentati da un solo pensiero: dove si trova la nostra vera figlia? Quando e come è entrato nella nostra vita questo bambino che non era il nostro?

La trovammo in un villaggio lontano. Una donna aveva dodici figli. Lei stessa sembrava ancora una ragazzina. E quando vedemmo quella bambina… la riconoscemmo immediatamente – era identica a mio marito. Il sorriso, lo sguardo, quella fossetta sulla guancia.

La donna si limitò ad alzare le spalle e a rispondere:

– Beh, sai com’è? La mia piangeva sempre, mentre la tua era tranquilla. Tu eri lì, tutta così… curata. E io avevo già altri quattro bambini che gridavano a casa. Così ho deciso di scambiarle. Che differenza fa?

Io faticavo a respirare. Che differenza fa? Quella frase mi trafisse come una lama.

Capii subito quando era accaduto. Il parto era stato difficile, mio marito era in trasferta, e io, dopo la nascita della bambina, per tre giorni non ero nemmeno riuscita ad alzarmi. Ricordavo a malapena qualcosa – i volti delle infermiere, le voci… tutto sembrava un sogno.

Ora abbiamo due bambine: quella che abbiamo cresciuto per dieci anni e quella che è veramente nostra figlia biologica.

E dire che tutto sia semplice – sarebbe mentire. Cerchiamo di dimostrare alla prima che la amiamo, che è nostra figlia, anche se la vita ha deciso diversamente. Alla seconda insegniamo le basi dell’igiene, il calore, la serenità, parole che non aveva mai sentito a casa sua.

Stiamo vivendo due vite contemporaneamente – e nessuna delle due è facile.

Ma sapete qual è la cosa più difficile?
Ogni sera, quando si spengono le luci, mi chiedo:
riuscirò mai a perdonare quella donna… e soprattutto – me stessa?

Voi cosa fareste al mio posto?

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