Sul pianerottolo c’era sempre un paio di vecchie scarpe – finché un giorno non sparirono, lasciando solo un biglietto

Gli abitanti del palazzo in via Brook si erano da tempo abituati a quella strana coppia di scarpe che stava accanto alla finestra del pianerottolo tra il terzo e il quarto piano. Scarpe scure, consumate, con lacci spezzati. Nessuno le toccava. Erano lì da anni — come parte del paesaggio. Alcuni scherzavano dicendo: «Saranno di uno spirito della casa». Altri dicevano — è un ricordo. Nessuno sapeva esattamente a chi appartenessero.

Ogni tanto qualcuno lasciava accanto una scopa o una busta dimenticata. Una volta una vicina aveva lasciato un mandarino, senza motivo. Eppure le scarpe restavano lì, sempre al loro posto, come se fossero custodite.
Finché, un giorno, le scarpe non sparirono. Sparirono in silenzio, senza lasciare tracce. Al posto dove si trovavano, comparve un biglietto:
«Grazie per non avermi mandato via. Queste scarpe erano il mio unico rifugio. Ora vado avanti. Ma ricorderò questa casa. È stata più gentile di quanto pensiate».

Non c’era firma. La carta — semplice. L’inchiostro blu. La gente rimase senza parole. Per alcuni giorni nessuno disse nulla. Poi iniziarono i discorsi: «Ma vi ricordate di quella donna col cappotto grigio, che ogni tanto si sedeva sui gradini con un libro?» — «O di quel ragazzo con lo zaino, che dormiva in cantina…» — «E il vecchio con il carrello, che è sparito questo inverno?»

La gente cominciò a ricordare. Poi passò all’azione. Accanto alla finestra comparve una scatola con un cartello: «Per chi ne ha bisogno». Apparve un barattolo di biscotti, un termos con del tè, un paio di guanti. Uno dei ragazzi lasciò uno sgabello. Qualcuno portò una lampada a batterie.
Il pianerottolo tra i piani non era più solo un passaggio. Era diventato un luogo dove fermarsi. Riposare. Ricordare. O capire che non sei solo.

Passarono alcuni mesi. Una mattina qualcuno trovò un nuovo biglietto:
«Sono tornato. Per un attimo. Solo per dirvi — mi avete salvato. Senza sapere chi sono. Grazie».

Di nuovo senza firma. Ma questa volta non serviva conoscere un nome. Perché tutti avevano capito: la gentilezza — non è un gesto. È uno spazio che crei, senza domandarti perché.

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