Quando la mamma è stanca, ma si alza comunque di notte perché qualcuno ha chiamato «mamma»

La casa era silenziosa. L’orologio in cucina ticchettava costante, fuori la brezza sussurrava, come se fosse stanco del giorno. Anastasia giaceva con gli occhi chiusi, pensando solo a una cosa: “Speriamo che nessuno chiami”. Era sfinita — non solo fisicamente, ma in ogni parte del corpo, ogni cellula, persino le ciglia sembravano pesanti. Durante la giornata aveva fatto di tutto: cucinato la zuppa, sistemato la biancheria, parlato con sua figlia al telefono, consolato la nipotina, giocato con il nipote, fatto una torta di mele.
Sembrerebbe ora di poter semplicemente dormire.
Ma all’improvviso — una voce. A malapena udibile, attraverso il sonno:
— Mamma…
Non capì subito — non era la nipotina, né uno dei bambini. Era qualcosa di interiore. In quella parola non c’era età. Era una richiesta. Urgente, come il respiro. Si sollevò, sapendo già che comunque sarebbe andata — non perché doveva, ma perché non poteva fare altrimenti. E non si sorprese neppure, trovando che non era una chiamata esterna. Era il suo cuore che rispondeva a qualcosa di invisibile, familiare, eterno.
Si alzò, tastando le pantofole nel penombra, e si diresse verso il profondo dell’appartamento. Non accese la luce — sapeva dove il pavimento scricchiolava, dove c’era la poltrona, dove si trovava la coperta. Tutto ciò era parte di lei, come la parola «mamma». Nella stanza, sul divano, giaceva Maria — la più giovane nipote. Rannicchiata, respirava affannosamente.
— Che cosa è successo?
— Ho avuto un brutto sogno, — si soffiò il naso la ragazza. — Ti ho chiamata.
Anastasia si sedette accanto a lei, la abbracciò. Le accarezzò i capelli. Nella quiete si udì solo quel sospiro — profondo, come dopo una tempesta. Della ragazza, di lei, del mondo — di tutti insieme. In quel momento divenne chiaro di nuovo: la parola «mamma» non conosce età. Può essere pronunciata da treenni, adolescenti, donne adulte che sono già mamme. A volte non è pronunciata ad alta voce, ma risuona dentro, quando è particolarmente spaventoso, particolarmente oscuro.
Anastasia rimase seduta fino a quando Maria non si addormentò. Poi un po’ di più, solo per ascoltare il suo respiro. Si alzò, la coprì con la coperta, e tornò nella sua stanza.
Coricandosi di nuovo, pensò:
«Quando ti chiamano “mamma”, tu vai. Anche se non hai più forze. Anche se stai dormendo. Anche se nessuno chiama — tu comunque senti. Perché essere mamma — non è un ruolo. È una vocazione. È per sempre».
Fuori la brezza riprese a sussurrare, ma ora più calmamente. Come se anche essa sapesse — tutto va bene, la mamma è vicina.