Quando mio nipote si è sposato, l’unico regalo che potevo fare era un album di famiglia, ma la sua reazione mi ha fatto piangere…

Quando mio nipote si è sposato, ero come in un sogno. Tutti correvano, sceglievano il ristorante, i vestiti, il decoro, discutevano sui fiori dei tavoli, e io pensavo solo a una cosa: cosa regalargli che rimanesse nel cuore e non solo su uno scaffale. La mia pensione è ridicola, non potevo nemmeno permettermi una busta con una somma decente.

Ho tirato fuori dall’armadio una vecchia scatola di fotografie. Lì c’era tutta la sua vita: la nascita, il primo Natale, come a tre anni mangiava la zuppa puntandomi un cucchiaio sulla guancia, la sua prima campanella, la pesca con il nonno dove tiene in mano un piccolo pesce con tutte e due le mani. Ero seduta per terra e piangevo mentre le guardavo.

Ho deciso di fare un album. Quello tradizionale, in carta, con le tasche. Ogni sera dopo cena mi sedevo al tavolo, sistemavo le foto e pensavo a cosa scrivergli, se queste fossero state le ultime parole che avrebbe mai letto da me.

Sotto la foto dove lo tengo tra le braccia fuori dall’ospedale, ho scritto:
«Qui ancora non sai che un giorno diventerai il significato della mia vecchiaia».

Nella foto in cui, da piccolo, dorme sul mio petto:
«Se nella vita avrai paura, ricorda: proprio come allora, ti tengo sempre mentalmente, anche quando non sei vicino».

Il suo primo giorno a scuola, in piedi con uno zaino enorme, quasi più grande di lui:
«Sei sempre stato piccolo, ma hai portato su di te più di molti adulti. Io vedevo e ne ero orgogliosa».

Dove con il nonno costruisce un nido per uccelli:
«Qui ti sembra che il nonno ti stia insegnando a piantare chiodi. In realtà, ti sta insegnando a diventare un uomo».

E nell’ultima pagina, dove siamo noi due seduti sulla panchina, abbracciati, ho scritto di più:
«Se un giorno ti sembrerà di non avere nessuno, ricorda che, ovunque tu viva, quanti anni tu abbia, avrai sempre una casa dove una donna con le rughe e le mani vecchie ti aspetta. Può non capire tutto della tua nuova vita, ma sarà sempre dalla tua parte. Sono io, tua nonna».

Al matrimonio tremavo un po’ mentre gli porgevo quell’album. Intorno a noi, gli invitati ridevano, la musica suonava, tutti regalavano buste, i bicchieri tintinnavano. Il mio regalo in tutto questo sembrava così piccolo e antiquato.

Lui ha preso l’album con una mano, con l’altra teneva il bouquet della sposa, ha guardato la copertina brevemente, come se fosse solo un biglietto, e ha detto:
– Grazie, nonna. Lo guarderò dopo.
E l’ha messo da parte con le altre scatole e pacchetti.

Ho sorriso, annuito, ho persino fatto una battuta per non far vedere a nessuno come mi pizzicavano gli occhi. Ma dentro avevo la sensazione di essere stata messa delicatamente su uno scaffale lontano con le cose inutili. Ero seduta al tavolo, guardando lui che ballava con la sposa, rideva con gli amici, e silenziosamente dicevo a me stessa: «Ecco, ora ha un’altra vita. Senza di me».

Di notte non riuscivo a dormire. Immaginavo qualcuno che apriva le buste, contava i soldi, mentre il mio album restava lì, chiuso. Pensavo che forse ero davvero superata. A loro ora piacciono i telefoni e i buoni regalo, non la carta, che tra l’altro va anche conservata.

La mattina dopo il telefono squillò. Sul display c’era mia figlia. La sua voce tremava:
– Mamma, sei sveglia?
– Sì, ormai sì, – sospirai. – Cosa è successo?
– Mamma, vai sui social media… Guarda la pagina di tuo nipote. Ma non spaventarti, va bene?

Il mio cuore è sceso nei piedi. Sono riuscita a malapena ad accendere il telefono, aprire la sua pagina. E la prima cosa che ho visto è stata una foto. Il mio album. Aperto su quella stessa ultima pagina, con la mia lunga dedica sulla casa e la donna con le rughe.

Sulla pagina c’era una traccia circolare irregolare, come se ci fosse una goccia d’acqua. Ho subito capito che non era acqua.

Sotto la foto aveva scritto:
«Ieri non sono riuscito ad aprire questo album davanti a tutti. Avevo paura di mettermi a piangere in sala. E di notte l’ho sfogliato fino al mattino.
Queste sono le foto su cui si basa tutta la mia vita. E le parole di una persona che non mi tradirà mai.
Il regalo più prezioso al mio matrimonio è stato quello della mia nonna. Nonna, grazie per l’infanzia, per aver creduto in me quando ero un moccioso, e per pensare ancora che io sia buono. Porterò il tuo “casa dove ti aspettano” con me, anche se vivrò dall’altra parte del mondo».

Leggevo questo e mi tremavano le mani. Le lacrime scorrevano così tanto che riuscivo a malapena a vedere lo schermo. Mia figlia chiamò di nuovo:
– Mamma, vedi? Ha passato tutta la notte con quell’album. La moglie ha detto che rideva, poi piangeva, poi ancora rideva.

Un paio d’ore dopo qualcuno suonò alla porta. Alla porta c’era lui, non più in abito, con una semplice maglietta, con i capelli spettinati e quegli stessi occhi in cui una volta leggevo tutto – offesa, gioia, stanchezza. Nelle mani – quell’album.

– Nonna, – nemmeno mi ha salutato come al solito, – ieri sono stato uno sciocco. M’imbarazzavo. C’era tanta gente, le telecamere, tutti guardavano. Ho preso e messo da parte e ho pensato: dopo. E poi ho aperto – e basta. – Abbassò gli occhi. – Non posso piangere in pubblico.

Si è avvicinato a me, mi ha abbracciato forte, come da bambino, con il naso affondato sulla spalla:
– Sai, pensavo di non avere un’infanzia normale, perché non avevo giocattoli costosi e viaggi. Poi ho visto quelle foto e le tue scritte e ho capito: ho avuto l’infanzia più giusta. Perché ero amato.

Lo accarezzavo sulla schiena e pensavo che forse non sono ancora superflua nella sua nuova vita. Forse sono ancora necessaria.

E ora ditemi sinceramente… avreste saputo non piangere in quel momento? E in generale – come possiamo, noi anziani, imparare a credere di essere necessari, se a volte siamo notati solo quando aprono gli album del passato?

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