Ogni mattina il cane usciva di casa e nessuno sapeva dove andasse. Così ho deciso di seguirlo di nascosto…

Ho preso Ricky dal rifugio tre anni fa. Era già un cane adulto, con una cicatrice sopra l’occhio e uno sguardo triste che non spariva neanche nei momenti più felici. All’inizio era diffidente e non si fidava quasi di me, ma col tempo è diventato affezionato, fedele e obbediente.

Tuttavia, c’era una stranezza che non riuscivo a spiegarmi. Ogni mattina, esattamente alle 8:15, cominciava a grattare con la zampa alla porta e a ululare finché non lo lasciavo uscire. Usciva e tornava dopo due ore, a volte un po’ prima, a volte un po’ più tardi. Ho provato a fermarlo, a offrirgli una passeggiata, delle prelibatezze, ma lui aspettava testardamente davanti alla porta. Sembrava che per lui fosse la cosa più importante al mondo.

Un giorno ho deciso di seguirlo. Ho preso il giubbotto, mi sono nascosto dietro l’angolo della strada e ho iniziato a seguirlo di nascosto.

Ricky correva sicuro per la strada, passando per negozi, un parco giochi per bambini, girando nei vicoli, finché non si fermò davanti a una vecchia casa ai margini della città. Era una villa a due piani trascurata, con la vernice scrostata e una recinzione piegata dal tempo. Ricky entrò attraverso un buco nel cancello e scomparve nel cortile. Mi avvicinai cauto.

Nel cortile, su una poltrona vicino alla finestra, sedeva una donna anziana. Molto magra, con mani tremanti e capelli grigi, ben pettinati. Quando vide Ricky, sorrise e tese le mani. Lui si avvicinò, appoggiando delicatamente la testa sulle sue ginocchia. La donna lo accarezzava e parlava con lui e lui la guardava attentamente negli occhi.

Ero lì, appoggiato al muro, ad ascoltare. Lei gli raccontava del suo mal di schiena, di quanto le mancasse suo figlio, che si era trasferito lontano e non chiamava da tempo. Chiamava Ricky “il mio ragazzo”, raccontando di come il suo Jonas – così pare si chiamasse il cane – veniva da lei ogni mattina, e di come si fosse sentita meglio quando era apparso di nuovo “lui”, con gli stessi occhi, con lo stesso sguardo.

A un certo punto, Ricky girò la testa verso di me. Sapeva che ero lì. Ma non si agitò, non scappò. Si rannicchiò di nuovo con il muso sulla mano della donna.

Non entrai. Semplicemente me ne andai. Più tardi, quella sera, scoprii dai vicini che in quella casa viveva una donna di nome Elsa, che aveva più di 90 anni. Suo figlio aveva portato la famiglia in un’altra città e andava a trovarla raramente. Aveva avuto un cane, Jonas, ma era morto diversi anni fa. Dopo, quasi non si alzava più dalla poltrona. Fino a quando non è arrivato Ricky.

Ora sapevo dove andava. E perché.

Da quel giorno, ogni mattina aprivo la porta. Senza fare domande. E la domenica entravamo insieme da lei – con una torta e un tè.

A volte l’amore e la cura trovano la loro strada da soli. Anche se una persona pensa di essere rimasta completamente sola, nel mondo ci sarà sempre qualcuno che verrà. Anche se è un cane.

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